Riflessioni

"Nessun problema può resistere all’assalto di una riflessione approfondita." (Voltaire)

Spes redemptionis

 Questa poesia, scritta in latino da mio figlio Marco, ha appena vinto la VI edizione del Certamen Nazionale di Poesia Latina "Vittorio Tantucci".

Marco frequenta il quarto anno del Liceo Classico, ha già vinto diversi premi ed è in procinto di partecipare alla finale nazionale delle Olimpiadi di Greco. Ama profondamente i classici greci e latini e li studia con passione vera.

La pubblico insieme alla traduzione in italiano e alle motivazioni della giuria.

Spes redemptionis di Marco Di Filippo

Sunt aenigma experti homines persolvere saepe
de natura quae solitast arcana videri,
nunc horrenda inimica hominis nunc splendida mater:
quamquam frugiferens Ipsa ornat fructibus arva

perpetuoque sinit propagent omnia saecla,
terrae motu imbre eluvie volvente homines vi
deletae urbes sunt quae olim crevere secunde.
Propterea tunc Naturam almam mortiferamque
dixerunt plures neque corruptam violarunt.

Nunc autem undique tellurem tuearis aquamque
tamquam tabi terrifica putescere sensim,
ac volucres pollutas alas pandere in auras.
Insuper evertit fodiens mare machina nunc qua
quaeritur, exhorresco, oleum uda vivum in harena.

Qua causa turpantur litora magna maris cum
perfoditurque solum aequoreum foede et genus omne
dein emergit piscium et oblinitur mare vastum(1).
Pluribus ex animantibu’ solum homo vindicat omne.
blanditia ipse aeris caecus confert mala facta

in se: heu felix, evulsae nisi montibus essent
radices stirpesque immotam quae retinentque
terram atque impediunt ne celso a culmine limus
volvens arva hominesque celer ruat ac vehementer(2).
Quae mentem nobis funesta insania cepit?

An nobis divinitus ista est data facultas?
Multis suppeditamus sub sole hoc propria quae
sponte offert Natura ipsa et nobis opus est nil
quod nisi solum ad vivendum simpliciter aptum est.
Nonne Philemonem et uxorem veteres didicistis(3)?

Spretis vivebant opibus frugaliter una.
Etsi de hoc longumst si plus ego dicere coner,
certe hos versus, intellectu quod facilest, ut
observantia Naturae tandem revalescat
composui neque enim me liquit fulgida spes nos

mundum omnem defensuros sanatum aliquando:
iam terrae aerumnae non immeritae esse videntur.

Notae:
1) Multae quidem fuerunt fiuntque adhuc olei vivi profusiones in mare calamitosae, quibus natura finitima turpatur aquaeque contaminantur.
2) Omnibus constat arboribus evulsis terram instabiliorem ruinasque frequentiores fieri.
3) Haud mihi necesse est memorare quid Ovidius scripserit de Phrygibus Philemone et Baucide, qui, cum alii, Iove Mercurioque specie mortali locum quo requiescerent petentibus, portas clausissent domuum, deos acceperunt iisque obtulerunt pauca quae habebant; quamobrem, Phryges qui portas clausere puniti sunt et huius immunes mali senes illi duo. Fabula ista narratur in Metamorphoseon libro VIII.

Il giudizio, espresso dalla Commissione presieduta dal Magnifico Rettore dell’Università Lumsa di Roma Prof. Francesco Bonini, è stato il seguente:

"Il lavoro affronta la tematica del rapporto tra l’uomo e la natura nel mondo classico e nel mondo contemporaneo rendendo in modo poeticamente efficace la differenza della relazione. Attraverso immagini evocative emerge dolorosamente la contrapposizione tra il rispetto di un tempo e lo scempio e i tormenti (aerumnae) che, tramite la tecnica (machina), l’uomo contemporaneo impone alla natura (trivellazioni, inquinamenti).

La giuria ha apprezzato il grande impegno nella resa in lingua latina della complessità  dell’assunto con uno stile fluido e coerente. Pienamente contestualizzato il riferimento all’ opera ovidiana che il giovane poeta mostra di percepire con autonomia intellettuale e moderna sensibilità."

Speranza di riscatto  di Marco Di Filippo

Spesso han tentato gli uomini di risolvere il mistero
intorno alla Natura, ch’è solita apparire oscura,
ora terribile nemica dell’uomo, ora splendida madre:
benché, frugifera, sia lei stessa ad ornare di frutti i campi
e a permettere che tutte le generazioni si perpetuino ininterrottamente,
città che un tempo crebbero sotto buoni auspici sono state distrutte
da terremoti, nubifragi e alluvioni, che travolgono gli uomini
impetuosamente.
Pertanto, molti alma e mortifera chiamarono la Natura
né l’alterarono e la violarono, allora.
Adesso, invece, ovunque si potrebbe veder la terra e l’acqua
corrompersi un po’ alla volta,
come se un terrificante morbo ne fosse cagione,
e i volatili nell’aria inquinata le ali dispiegare.
Inoltre ora sconvolgono il mare i meccanismi di trivellazione con cui,
rabbrividisco,
si cerca il petrolio nella madida sabbia.
Per questo motivo i grandi litorali son deturpati
quand’è orribilmente perforato il fondale equoreo
e ogni specie di pesci viene a galla;
frattanto, il mare s’intorbida,
immenso.
Fra moltissimi esseri viventi l’uomo soltanto tutto s’arroga e,
accecato dalla lusinga del denaro, rivolge le nefaste azioni
proprio contro di sé:
o felice, se dai monti non fossero stati divelti
ceppi e radici, che trattengono il terreno immoto
e impediscono che dall’alta vetta il fango,
travolgendo campi e uomini, precipiti rapido e veemente.
Qual frenesia ci ha còlto funesta la mente?
Ce l’ha forse permesso il cielo?
Sotto questo sole siam provvisti di molti beni, che,
spontaneamente, la Natura stessa offre:
di niente abbiam bisogno se non soltanto di ciò
ch’è utile per vivere con semplicità.
Forse non conoscete gli anziani Filemone e la moglie?
Noncuranti delle ricchezze, vivevano, insieme, frugalmente.
Anche se troppo mi dilungherei
se provassi a dir di più su quest’argomento,
in ogni caso, ho composto questi versi affinché,
lo si capisce facilmente,
finalmente il rispetto reverenziale della Natura
rinvigorisca:
fulgida, infatti, non mi ha abbandonato la speranza
ch’alfine, risanato il mondo tutto, lo preserveremo,
ché i tormenti della terra più non paiono
immeritati.

Note:
1) Invero molti son stati, e accadono tutt’ora, i disastrosi spargimenti in mare di petrolio, dai quali la natura circostante è deturpata e le acque contaminate.
2) A tutti risulta chiaro che, sradicati gli alberi, la terra diventa più instabile e le frane più frequenti.
3) Non occorre ch’io ricordi cosa scrisse Ovidio circa i Frigi Filemone e Bauci: quando Giove e Mercurio con sembianze mortali cercavano un luogo dove riposare, mentre gli altri avevano chiuso le porte delle case, costoro accolsero gli dèi e offrirono loro il poco che avevano; pertanto, i Frigi che serrarono le porte vennero puniti e quei due anziani restarono illesi. Questa leggenda è raccontata nell’ottavo libro delle Metamorfosi.

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