Tecnologia

"Ché perder tempo a chi più sa più spiace" (Dante Alighieri)

Formazione digitale, cos'è che non va in Italia?

La lettura degli ultimi dati DESI ci racconta che l'Italia è in Europa al 25° posto su 28 per digitalizzazione dell'economia e, soprattutto, all'ultimo posto in assoluto per competenze digitali. Come formatore sulle tecnologie digitali, la cosa non può lasciarmi indifferente.

Diversi commentatori scrivono che occorre destinare più risorse alla formazione delle competenze digitali.

Eppure a me non pare che negli ultimi anni queste siano state scarse. Ad esempio, nella scuola, il PNSD (Piano nazionale scuola digitale) è stato davvero prodigo su questo aspetto e gli interventi PON anche.

Sono convinto invece che i risultati siano scarsi per cause diverse, legate anche alle modalità di svolgimento dei corsi.

Era da un po' che volevo fare un post in tema, ne avevo abbozzati diversi negli anni, non li ho mai pubblicati, perché temevo che apparissero di parte, magari più avanti nel post dirò perché questo timore è ora in parte svanito.

Tre punti vorrei mettere sotto la lente. La selezione degli esperti dei corsi di formazione (e quindi delle normative che la condizionano), la scelta degli argomenti oggetto della formazione e lo spirito dei corsisti .

Sulla selezione degli esperti credo di avere un osservatorio di bandi analizzati ampio e quindi significativo. Nel mio curriculum c'è un buon numero di esperienze come formatore, ma i bandi letti, se includiamo quelli ai quali ho partecipato senza successo e soprattutto quelli da me scartati in partenza (i più interessanti ai fini di questo articolo), sono in numero enormemente maggiore. Inoltre, anche se il mio osservatorio diretto è quello della scuola, ritengo che le mie considerazioni siano valutabili anche negli altri ambiti della PA. Non nel settore privato, che pure ho a lungo frequentato, dove la situazione è senz'altro diversa.

Alcuni dei punti opinabili che ho trovato,in modo ricorrente, nei bandi sono i seguenti:

- punteggi generosi sono garantiti a chi ha partecipato a progetti analoghi finanziati con fondi europei. Tali punteggi sono attribuiti in proporzione al loro numero (e qui spiego il venir meno della remora paventata ad inizio articolo: oggi anch'io usufruisco di tali punteggi, quindi ora queste affermazioni non stanno difendendo un mio interesse). La ratio del criterio è evidente, l'esperienza ha un valore. Però mi chiedo: è giusto che questo valore sia indipendente dalla qualità dell'intervento e dalla sua efficacia? (NB: è pur vero che alcuni istituti fanno monitoraggi e misurazioni della qualità percepita, ma non hanno ricadute sulle future selezioni).

- chi ha certificazioni informatiche di livello iniziale (le cosiddette patenti europee del computer), non certo di interesse per uno specialista informatico e quindi generalmente assenti nel suo CV, gode spesso di un congruo punteggio aggiuntivo.

- altri punti erano a volte garantiti da corsi e certificazioni "riconosciute", ma a me del tutto ignote, mentre nessun contributo offre in genere il ruolo o una abilitazione all'insegnamento in informatica, magari ottenuta vincendo un pubblico concorso.

- a volte viene assegnato un punteggio relativo alla fascia del voto di laurea, ma spesso non al tipo di laurea, per cui, ad esempio, a un laureato con voto elevato in lettere o in filosofia viene assegnato lo stesso punteggio di un laureato con lo stesso voto in una disciplina tecnica specifica.

- nessun punteggio, invece, per le competenze reali in ambito digitale, per chi ha realizzato progetti informatici in ambito privato e aziendale. Nessun punto ad esempio a chi magari ha sviluppato un software con centinaia o migliaia di installazioni.

E potrei continuare. Il sistema attuale a me sembra funzionale al reimpiego continuo degli stessi esperti. E forse non vi sarebbe neppure nulla di male in questa malintesa valutazione dell'esperienza, se tutti noi ritenessimo che finora gli interventi sul sistema istruzione siano stati sostanzialmente efficaci. Ma non mi sembra questo il caso.

Un discorso non molto diverso potrei fare anche per la selezione degli esperti negli interventi infrastrutturali in ambito informatico (progettisti, collaudatori, ecc). Del resto, va detto in questo caso, la burocrazia è talmente ingombrante che sovente l'esperto è inteso come colui che è bravo a gestire le procedure amministrative nelle varie fasi, a redigere un progetto conforme alle attese degli uffici che li riceveranno. E che, a volte, di un progetto trova rilevante soprattutto la lista degli items da acquistare (sempre gli stessi), piuttosto che inseguire una visione innovativa.

Credo invece che la scuola e la PA abbiano oggi bisogno di formatori e progettisti veri, preparati, aggiornati, creativi, abituati ad analizzare a fondo le esigenze reali e a scegliere tra diverse possibili implementazioni quella più efficiente. Ma con le attuali griglie di valutazione, persino gli sviluppatori stessi delle più utilizzate tecnologie, che per assurdo decidessero di impegnarsi qui, magari lasciando la Silicon Valley :-) , perderebbero certamente tutte le gare, scavalcati dagli esperti di sempre.

Il secondo punto è relativo ai contenuti dei corsi che vengono erogati. Sono sempre mie opinioni personali, ma a me pare che puntino spesso a dettagli, piuttosto che ad affrontare l'obiettivo principale. Un po' come se un architetto, aprendo un cantiere per la costruzione di un nuovo edificio, discutesse con gli operai dei rubinetti e dei punti luce che serviranno, anziché parlare delle fondamenta.

Infatti in questi corsi vengono spesso affrontate tematiche relative all'uso di applicazioni e strumenti. Vengono presentate app utilizzabili con gli studenti, si fanno molti corsi sul funzionamento della lim (mai però una riflessione sulla sua effettiva utilità, questa nella scuola è un dogma).

Ora io non affermo che queste cose non siano utili. Però mi sembra che non ci si occupi mai, appunto, delle fondamenta. Sulle quali costruire quelle competenze digitali assenti in molti docenti, nei giovani e nella popolazione attiva in generale, come quelle statistiche dimostrano.

E quali sono queste fondamenta mancanti? Be' secondo me cose del tipo:

  • capire, sia pure al livello di approfondimento possibile, come funziona un computer (non lo sa quasi nessuno)
  • cos'è un documento digitale e le differenze tra i formati di uso comune (prima di imparare a manipolarli)
  • cos'è un’immagine digitale, o un video, e le differenze tra i formati di uso comune (prima di imparare a manipolarli)
  • come funzionano le piattaforme di condivisione e di collaborazione, capirne le opportunità e le criticità
  • quali mezzi di comunicazione usare a seconda dell’attività e come usarli in modo efficiente
  • quali sono i rischi in ambito informatico (capire i rischi non solo i comportamenti da tenere)
  • capire cos'è un dbms, un'entità, un campo, un record (non esiste solo il foglio elettronico quando occorre gestire dati)

Sono assolutamente convinto che, se si prescinde da questi aspetti, lasciandoli prerequisiti insoddisfatti, qualsiasi formazione in campo digitale, lungi dal creare competenza, si riduca ad una forma di "ammaestramento". Si sarà in grado cioè, utilizzando quel software presentato durante la lezione, di ripetere le stesse operazioni fatte dal formatore, ma, di fronte a una qualsiasi nuova situazione in ambito informatico, non si constateranno capacità accresciute. Per usare le terminologie di moda, saranno state acquisite alcune piccole abilità, ma nessuna competenza.

Se poi parliamo dei giovani, quest'approccio è ancora più negativo. Quelle abilità di cui sopra, in loro sono già naturalmente presenti. Di fronte a una nuova app, ad esempio, non hanno certo bisogno di un corso per imparare a usarla, lo fanno istintivamente da soli, o nei casi più complessi, ci riescono con un paio di googlate. Invece proprio a loro è urgente fornire quelle fondamenta di cui sopra, aggiungendone anzi in questo caso anche un'altra, imparare un po' di programmazione. Questa per i giovani dovrebbe diventare una competenza centrale, perché va oltre la competenza digitale, in quanto è in grado di potenziare le stesse capacità di apprendimento dell'individuo.

E siamo all'ultimo punto. Il corsista e le sue motivazioni . Principale ostacolo è l'abitudine, il difendere ad oltranza conoscenze e modalità apprese in passato, magari da autodidatta e ritenerle corrette solo perchè le si è praticate da tempo, il rifiutare suggerimenti su modalità alternative senza neanche fare una valutazione di pro e contro. É da sempre il principale ostacolo all'apprendimento delle competenze digitali (ne parlo in questo mio vecchio post Grace Hopper e le lancette dell'orologio ). Un altro aspetto diffuso e poco piacevole che noto durante i corsi, in ingresso, è che la motivazione più alta di molti iscritti è ... l'attestato, il che mi fa pensare che non sempre v'è un vero interesse in campo digitale, un minimo eros conoscitivo; spero che ciò sia anche causato da un sistema di formazione digitale da rifondare, e che a quel punto potrà cambiare anche la motivazione.

fonte immagine: https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/human-capital

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